Private Project

Prampolini-Menarini Express

Italiano: Visioni di vite disperse in oggetti ritrovati in un appartamento meneghino appartenenti ad un bolzanino e ad una bolognese in quegli stessi redivivi, coppia borghese tra l’affiatato e a pensar male, il mal assortito, sebbene i posteri non siano chiamati ad esprimere tali ardue sentenze bensì, in veste di pubblico, allettati a ripercorrere momenti di vita di quei due immortalati in diapositive ritrovate in soffitta e che il film gioca a montare dando loro un flusso temporale che non può che essere inattuale altresì inatteso perché interpuntato da tranche-de-vie altrui e proprie dei filmmaker stessi, che quegli oggetti riutilizzano e riadattano alla propria quotidianità con un occhio di riguardo e una strizzata d’occhio a quei mezzi sconosciuti antichi proprietari.

English: A found footage / object film: the colorful 1960s in Italy, a joyful time, live-giving coating of born-again found images, re-animated, examined, reviewed in a past time, revisited.

  • Sara Ferro
    Director
  • Chris Weil
    Director
  • Sara Ferro
    Writer
  • Laura Menarini
    Key Cast
  • Benito Maria Prampolini
    Key Cast
  • Sara Ferro
    Cinematography
  • Chris Weil
    Cinematography
  • Sara Ferro
    Editing
  • Chris Weil
    Editing
  • ARTOLDO pictures
    Production
  • Project Title (Original Language):
    Prampolini-Menarini Express
  • Project Type:
    Documentary, Experimental, Short
  • Runtime:
    15 minutes
  • Country of Origin:
    Italy
  • Language:
    Italian
  • Shooting Format:
    4K DCI
  • Film Color:
    Color
  • First-time Filmmaker:
    No
  • Student Project:
    No
  • FLIGHT | Mostra internazionale del cinema di Genova
    Genoa 2022
    Official Selection
  • Festival del Cinema di Cefalù
    Sicily 2023
    Nominee
Director Biography - Sara Ferro, Chris Weil

Italiano: Sara Ferro (Milano, 1977) e Chris Weil (Bad Nauheim, 1988) formano il duo internazionale ARTOLDO. Dal 2015 fanno operativamente sempre a quattro mani micro, corti, medio e lungometraggi di ricerca con piglio sperimentale e cipiglio cineastico, occupandosi a 360° in “primae personae” di tutto quel che concerne le loro immagini in movimento, dalla regia alla ripresa, dal montaggio al paesaggio sonoro, dall’ideazione all’installazione, dall’illuminazione all’indagine, con piacere d’investigazione in reami controversi.
I messaggi che lanciano attraverso le loro opere hanno volutamente un tono tra il semiserio e lo svaporato, a celare il vetriolo di un’invettiva che vogliono suscitare invece in maniera subconscia come in una sorta di trasformazione digitale del mugugno in un incipit accelerazionista. A tal fine intraprendono incursioni in mondi sintetici e nei territori dei nuovi media meno in vista, dove possono immaginare i mezzi per oltrepassare nuove frontiere.

English: Sara Ferro (Milan, 1977) and Chris Weil (Bad Nauheim, 1988) form together the international duo ARTOLDO. Since 2015, they are creating as a collective, micro, short, medium, and feature-length films with exploratory outlook, experimental look and cineastic frown, dealing at 360 ° in “primae personae” with everything related to their moving images and video art.
The messages sent out through their works deliberately have a tone between the semi-serious and the vaporous, to conceal the vitriol of an invective that they prearranged to arouse subconsciously, by virtue of a digital transformation of the grumbling into an accelerationist incipit. To this end, they undertake forays into synthetic worlds and the less visible new media territories, where they can imagine the means to cross new frontiers.

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Director Statement

Come visualizzare, offrendo e prendendone visione, vite disperse in oggetti ritrovati per caso in una casa, da altri, noi, presa e da alcuni, loro, data in affitto.
Quella era in questo caso un appartamento a Milano, ammobiliato con tanto di oggetti di casa, tanti, tutti appartenenti ad un altoatesino, all’epoca sarà per poco ancora vivente e ad una bolognese, già trapassata e in quegli stessi oggetti oggettivati di nuovo assieme, redivivi.

Coppia borghese tra l’affiatato e da un certo ignoto punto in poi, a pensar male, il mal assortito, proprio come è quando deve andare così, sebbene i posteri non sìano chiamati ad esprimere tali ardue sentenze, bensì, in veste di pubblico, allettati a ripercorrere momenti di vita di quei due immortalati in diapositive ritrovate in soffitta o in cantina.

Il film gioca a montarle dando loro un flusso temporale che non può che essere inattuale altresì inatteso, perché interpuntato da immobili spaccati di vita, quadri di vita vissuta, fissati in close-up su mobili con sopra posati gli oggetti, i loro, ora passati ad essere altrui, in momenti ora propri dei film-maker stessi, riutilizzatori e riadattatori di quegli oggetti alla propria quotidianità di oggi, con un occhio di riguardo e una strizzata d’occhio a quei mezzi sconosciuti antichi proprietari.

Sono gli oggetti della coppia Prampolini-Menarini, per quel che se n’è evinto da sparute e sparse informazioni e cenni e drammi ricostruiti, la fu coppia poi scoppiata e senza eredi del bilocale milanese, lei scomparsa in solitudine soltanto accompagnata alla fine dalla fondazione di un noto ospedale a tema tumori, lui sopravvissutole come usufruttuario, riaccompagnato da dama losannese novella al seguito, conosciuta sul Lago Lemano, dove lui, Benito Maria si era trasferito, chissà se già pre o solo post dipartita della moglie Laura - con lui firmeremo il contratto d’affitto e di lui scomparso presso un rifugio nella Suisse occidentale sapremo dal suo amico avvocato, cointestatario del conto su cui arrivava regolare il nostro affitto.
Deceduto mentre oltre i settanta si arrampicava oltre i tremila a mille e quattro dalla cima del Cervino, ma dalla via svizzera, ormai prediletta, dove la stessa medesima montagna si chiama Matterhorn. Il cuore dell'ingegnere lo aveva lasciato sulle ubique montagne, onnipresenti, oblique, amate.

Molti degli oggetti migreranno in altre case, come una scarna eredità di un misconosciuto zio americano, che non si può dire scarsa, che lo zio non era nemmeno alla lontana nostro parente, vige pur sempre quel: a cavall donato non si guarda in bocca, anche ad non essere di bocca buona.
Di casa-loro non ci sono immagini, né di chi l’ha lì rivissuta, tempi in cui non si fotografava troppo, troppo sfuggenti in una metropoli troppo veloce, ridondante di possibilità da sconcertato inizio millennio, oggi denominati eventi, ieri già lo erano in tempi non sospetti, piuttosto sospesi tra settembrini attacchi a grattacièli americani e primaverili incidenti nostrani, come quel 18 aprile 2002 con lo schianto di un veivolo monoposto da turismo sul Pirelli, quasi all'ombra di cui, nella via Filzi con rotaie per tram vintage arancioni con sedili di legno vetrificato giaceva vivissimo e placido al floreale civico 10 delle Belle Arti l’appartamento liberty in oggetto.

Non rimaneva che rimetterli in scena in una seduta spiritica spiritata, a volte spiritosa, di tremolii spiriticamente evocati, di racconti tra loro inattuali come utensili tratti da natura morta che servono pranzi e cene di altre vite spesso sorprese divertite al pensare ai primigèni proprietari come fossero parenti acquisiti da altri disconosciuti.

La pellicola, del tempo, rivivificante rivestimento di redivive immagini-ritrovate, rianimate, passate in rassegna, riviste del tempo-che fu, rivisitate.
Quel revival di diapositive rinvenute solitarie in solaio in compagnia di un proiettore-carosello in una soffitta sfitta di un appartamento in affitto.
E un vestito da sposa cangiante di panna, cassata e un po’ di pena, crema, come da Cassandra.
Pieno zeppo, fitto, zuppo di ricordi inaccessibili, di estranei sconosciuti conoscibili ora, ormai e per sempre solamente attraverso diapositive: dia, prefisso greco per attraverso, appunto attraversate da una luce adesso proiettata da altri per mano loro, non proprio brevi manu, ultimi giri di giostra come vacanze finite, appunti appuntati a quel che resta del giorno alla fine della fiera.
Un fine vacanza reiterato, vacanze programmate riprogrammate per ogni stagione, ce n’è per tutti e tutte le mete, scelte a metà di due cuori e una capanna finemente arredata, pied-à-terre repositorio di oggetti, buone cose di gusto per un pessimo quotidiano, oggi, per noi, objets trouvés.
Marche svizzere, bernesi e vallési, italico design simpatico ma senza troppa ironia, infatti nei fatti solidamente borghese con cipiglio da ingegnere e piglio da mogliettina modello più malinconica e misurata originalità, brezzolina timidamente esotica.
Libri illustrati da coffee-table che approfondiscono temi legati alle vacanze romane, veneziane, alpigiane, rivierasche di lago e di mare.

Cime, litorali, lidi, campielli, campi da golf, sci, golfini perbene, occhialetti da sole spericolati, mise stravaganti di una messa-in-scena di abitini bon ton, bikini per atolli italo-francesi e interi anche da interni, calzettoni da scarponi e arrampicate estremamente raffinate perché non per finta, assieme a zoccoletti marini su gambe tornite di profilo da pin-up modestina, un figurino con contegno da assennata modaiola vorrei ma non troppo, il buon gusto addomesticato da domestica dimestichezza studiatamente dimessa per non scontentare nessuno o alcunché.

Da stato statico a immagini in movimento filmico filmograficamente filmato, d’epoca.
Filmate da stativo ostativo del movimento condotto invece a sprigionarlo, al contempo suo ostaggio come in algiche-ostalgie, come in ostali perduti, sperduti in un’intima elegia-aleatoria altresì aleggiante, altre antalgiche algide volte, meno.